giovedì 3 settembre 2009

COSCIENZA ED ETICA

Ho letto, tempo fa, un articolo di Edoardo Boncinelli dal titolo “Le quattro vie che portano alla coscienza” (Corriere della Sera del 26/6/2009). Mi sono fatto degli appunti e mi sono riproposto di esprimere a mia volta una opinione sull’argomento. Avrei voluto leggere, prima, il libro di Derek Denton “Le emozioni primordiali. Gli albori della coscienza”. Infatti è da questo libro che Boncinelli ha tratto ispirazione. Non ho letto il libro di Denton ma intendo, comunque, commentare l’articolo in questione partendo proprio dalla affermazione finale:«Può darsi che tutta la magia del fenomeno coscienza si risolva nel portare alla ribalta del mio io certi contenuti della percezione che siano pronti per l’azione o addirittura già azione: cose che stanno a mezza via fra la constatazione e la progettazione, come dire il progetto.»
È chiaro che la coscienza di cui parla Boncinelli è la sua coscienza, cioè una coscienza individuale umana. A questa conclusione giunge partendo da una affermazione di Denton «La mente è ciò che il cervello fa» ma poi ne restringe il significato osservando che la mente è solo una parte del cervello: esclude quindi tutto ciò che presiede al metabolismo delle cellule nervose e mette in evidenza la parte che riguarda la coscienza. In questo modo tende a rappresentare la coscienza come una acquisizione che la vita ha realizzato ad un certo punto del suo sviluppo, una sovrastruttura formatasi nel cervello, in una certa misura presente anche negli animali superiori, ma che ha raggiunto il massimo livello negli esseri umani. Per suo mezzo noi entreremmo in relazione con lo spazio, con il tempo e con le cose intorno a noi, ci permetterebbe di «sapere dove siamo in questo momento e di sapere che lo sappiamo». In base alle sue conclusioni individua quattro percorsi seguiti dall’evoluzione per consentire alla coscienza umana di emergere ed affermarsi:
- i bisogni biologici necessari che precedono l’emergere della coscienza primaria (Denton),
- la percezione del mondo esterno e la sua rappresentazione (Gerald Edelman),
- sensazioni e risonanze sulle quali si può costruiren il resto (Antonio Damasio),
- la propriocezione, ossia la percezione che ognuno di noi ha dello stato di tensione dei muscoli del proprio corpo (Boncinelli medesimo).
Ciò detto, una coscienza primaria potrebbe, esistere già in organismi biologici primitivi poiché tutti sentono gli stimoli della fame e della sete e la necessità di soddisfare questi bisogni; un certo grado di percezione e rappresentazione del mondo esterno dovrebbe contraddistinguere tutti gli esseri viventi se è vero che tutte le creature reagiscono a cambiamenti climatici e ambientali. Lo stesso vale per le sensazioni e risonanze o per lo stato di tensione dei muscoli: una mosca percepisce benissimo una sensazione di pericolo e un serpente sa interpretare altrettanto bene lo stato di tensione dei suoi muscoli al momento di afferrare la preda.
Una delle caratteristiche superiori della coscienza è quella di acquisire informazioni, trasformarle in esperienza e tradurre le esperienze in azioni: azioni intese non solo come adeguamenti comportamentali ma anche come adeguamenti strutturali.
A questo punto possiamo introdurre la domanda: un vegetale è in grado di acquisire informazioni, trasformarle in esperienze ed agire in conseguenza? Tutti sappiamo che un vegetale sa allungare le sue radici verso il terreno più fertile o irrigato e i suoi rami verso la fonte di luce più vicina; se aggredito da nemici sa approntare delle difese come spine o foglie urticanti o velenose. Questi comportamenti possono indicare la presenza di una forma di coscienza?
Possiamo osare ancora di più e chiederci: solo la vita biologica può realizzare forme di coscienza?
Scrive David J. Chalmers (Arizona Univesity):
«Forse le informazioni, o almeno alcune informazioni, hanno due aspetti fondamentali, uno di carattere fisico ed uno appartenente al mondo dell’esperienza…. Può persino accadere che teoria fisica e teoria della coscienza possano essere, alla fine, unificate in un’unica grande teoria dell’informazione. Si pone potenzialmente la domanda del posizionamento dell’informazione; persino un termostato, ad esempio, incorpora qualche informazione, ma si può dire che sia conscio? Ci sono almeno due possibili risposte; la prima: possiamo elaborare delle leggi fondamentali in modo che solo alcune informazioni si traducano in esperienze…., la seconda: possiamo forzare la situazione e avanzare l’ipotesi che tutte le informazioni producano esperienze….Se è così persino un termostato può provare esperienze.Questo può sembrare strano, in un primo momento, ma se l’esperienza è davvero fondamentale dobbiamo aspettarci che sia largamente diffusa».(D.J.Chalmers,” The puzzle of conscious experience”, Scientic American p.100-agosto 2002).
Questo potrebbe significare che la coscienza è una forza cosmica deputata ad interpretare l’universo in tutte la sue manifestazioni, in tutte le sue molteplici e mutevoli relazioni. Non sarebbe quindi esclusiva di una singola specie o della vita biologica come noi la intendiamo ma sarebbe presente in ogni struttura, semplice o complessa, materiale o immateriale, organica o inorganica e persino nelle loro singole parti. Del resto l’universo è un insieme di relazioni tra soggetti ciascuno dei quali e depositario di qualche informazione. Da come si evolvono queste relazioni nascono e si formano strutture che sommano insieme le informazioni di cui dispongono. Niente di più naturale pensare che sia la somma di queste informazioni e la loro qualità a determinare il livello di coscienza di ogni singolo soggetto.
A questo punto noi uomini, pur ridimensionati nella nostra presunzione di essere unici e irraggiungibili, potremmo ancora peccare di eccessivo orgoglio. Infatti non è detto che un alto livello di coscienza porti automaticamente ad una corretta interpretazione del proprio ruolo nell’universo. A volte, al contrario, può determinare la convinzione di poter appagare tutte le proprie ambizioni, i propri sogni e desideri anche a scapito di ogni altra presenza. Questo atteggiamento avrebbe effetti distruttivi.
Veniamo al concetto di progetto. Se l’uomo pensasse, data la sua presunta superiorità, rispetto ad ogni altra creatura, di essere lui il “progetto” e si comportasse di conseguenza, non andrebbe molto lontano. In realtà non esiste un progetto ma solo un principio in base al quale è possibile valutare la correttezza delle relazioni che ogni presenza intrattiene con le altre. La coscienza dovrebbe consentire l’utilizzo delle informazioni al fine di interpretare correttamente queste relazioni, permettendo la formazione di strutture destinate a durare e ad evolversi. Ma non è detto che lo faccia. Dunque se di un principio si tratta deve trattarsi di un principio etico ed è su questo principio che potrebbe reggersi l’intero universo.