domenica 26 giugno 2011

QUALI RIFORME ?

QUALI RIFORME ?

Il Presidente della Repubblica, opportunamente, invita il governo a perseguire il pareggio di bilancio e a ridurre il peso del debito pubblico sulle finanze del paese. Si può giurare che tutte le forze politiche rappresentate in parlamento e i loro portavoce si dichiareranno d’accordo ma si guarderanno bene dall’indicare in quale direzione guardare per recuperare le risorse necessarie.
Le sinistre diranno che occorre colpire di più le rendite finanziarie e meno i redditi di lavoro e le destre proporranno di aumentare le imposte indirette per diminuire quelle dirette,cosi i poveri pagheranno in vitto e spese di prima necessità quello che gli altri recupereranno ulteriormente in benefit e rendite parassitarie. Qualcuno suggerirà, ma sulla loro sincerità non è opportuno scommettere, che occorre eliminare le provincie o promuovere il federalismo fiscale con un senato delle regioni in sostituzione di quello attuale, altri ancora avanzeranno la proposta di ridurre il numero dei parlamentari. Ma tutte queste proposte, sganciate da un contesto generale, servono solo ad alimentare una sterile polemica politica, destinata a produrre più guai che a influire sulla soluzione del problema. Altri chiedono una riforma del diritto tributario il cui scopo dovrebbe essere, non quello di ridurre le spese, ma di destinare nuove risorse alla spesa dei vari ministeri, vagamente definita “per lo sviluppo e la crescita”. Nella condizione in cui siamo questo significherebbe creare ulteriore debito pubblico, sfondare i limiti di bilancio con deficit vicini a quelli greci o irlandesi e destinare tutte le risorse finanziarie reperibili con la fiscalità al pagamento degli interessi sul debito che già oggi raggiungono la spaventosa cifra di circa 80 miliardi di euro. In realtà una riforma del diritto tributario si impone ma indicando prima dove reperire le risorse e solo in un secondo momento come distribuirle. Si potrebbe tassare maggiormente chi accumula ricchezza e spende in beni di lusso premiando invece chi investe creando ricchezza e lavoro, sfoltire la giungla delle esenzioni e agevolazioni favorendo soltanto le famiglie e il lavoro, modificare il prelievo fiscale cambiando il rapporto tra rendita finanziaria e reddito di lavoro a vantaggio di quest’ultimo. L’Europa ci impone una manovra di 40/45 miliardi in quattro anni e questo dovrebbe significare sacrifici per tutti ma a pagare di più saranno, come al solito, i più deboli. Per avere un minimo di credibilità e far passare misure impopolari la classe politica dovrebbe dare qualche segno di responsabilità e partecipazione cominciando a eliminare i propri privilegi, i propri vitalizi, ridurre i propri stipendi che non temono confronti in Europa e nel mondo, contenere i rimborsi elettorali ai partiti non oltre le spese effettivamente sostenute, chiedere l’eliminazione delle pensioni multiple milionarie pagate da una previdenza pubblica con i soldi accumulati in un modo o in un altro grazie al sudore di tanti lavoratori che, pur avendo lavorato una vita, non riescono ad avere una pensione decente. Queste misure potrebbero da sole garantire le risorse necessarie nell’immediato per contenere il deficit e poterebbero favorire in qualche misura i consumi e la crescita. Ma l’Italia ha bisogno d’altro.
Ha bisogno di riforme strutturali in grado di garantire, se non subito almeno in un prossimo futuro, una sostanziale riduzione della spesa e ai nostri figli e nipoti la speranza di un dignitoso avvenire, ha bisogno di dare rilevanza costituzionale ad argomenti che i padri costituenti hanno eluso, ma che sono fondamentali per il regolare funzionamento degli organismi di rappresentanza democratica. Si tratta di argomenti che un parlamento come il nostro non è purtroppo in grado di affrontare. Infatti è formato da persone nominate, senza alcuna legittimazione popolare, dai rispettivi capi partito; molto spesso rappresentano specifici interessi, talvolta sono indagate per reati di varia natura, a volte sono coinvolte in funzioni che non sarebbero di loro competenza, altre ancora con incarichi multipli in conflitto di poteri o interessi. Sarebbe necessaria una assemblea costituente eletta direttamente su collegi uninominali e candidature libere che escludano i parlamentari in carica. Per questo motivo è semplicemente indispensabile e prioritario modificare la legge elettorale ritornando a un rapporto più diretto tra eletti ed elettori.
In merito alle riforme strutturali ricordiamo la necessità di una riorganizzazione e razionalizzazione dei servizi pubblici con l’eliminazione degli enti inutili, la semplificazione della struttura degli enti territoriali con l’eliminazione delle provincie e delle prefetture, il completamento del federalismo, compreso quello fiscale, accompagnato però da rigorose leggi di bilancio tali da coinvolgere la responsabilità personale degli amministratori.
La nostra costituzione è nata in un momento in cui alcune forze politiche erano lontane dal manifestare entusiasmo verso le democrazie liberali cresciute in occidente: guardavano altrove, a sistemi politici che certo non si ispiravano a Lock, Montesquieu o Tocqueville. C’erano però componenti che avrebbero voluto farlo. Ne risultò un ordinamento statale che prevede una divisione dei poteri tra esecutivo, legislativo e giurisdizionale ma tale divisione resta su un piano formale: “divide” ma non “separa” consentendo all’esecutivo di interferire con il legislativo, il legislativo con l’esecutivo e ai giudici di muoversi, con disinvoltura, tra le istituzioni fino al punto di consentire a ciascun potere devastanti incursioni in campi non specificatamente suoi. Si riporta solo l’ultimo episodio: il presidente del consiglio, per ricostruire la sua maggioranza traballante, ha offerto un consistente numero di nuovi posti di governo, appositamente creati, a deputati dell’opposizione che hanno risposto all’appello cambiando opinioni e bandiera. Se questi deputati fossero stati costretti a dimettersi per assumere l’incarico di governo lo scopo non sarebbe stato raggiunto e, probabilmente, nessun deputato avrebbe risposto al richiamo.
La magistratura deve difendere la sua autonomia ma non deve insidiare quella dell’esecutivo o del legislativo assumendo connotati che non le appartengono come la connotazione politica di alcune sue componenti: una connotazione non casuale ma indotta anche dal sistema elettorale adottato per l’elezione del C. S. M. che obbliga i magistrati a schierarsi in liste contrapposte con finalità politiche.
È inoltre necessario prendere in considerazione i conflitti di interesse pubblico/privato e di potere tra chi ricopre più incarichi pubblici contemporaneamente. A tale riguardo chi svolge un ruolo pubblico rilevante di legislatore o di governo, sia locale che nazionale, dovrebbe cessare la propria attività professionale quando questa sia nella condizione di trarre vantaggio da quel ruolo. Per gli stessi motivi chi svolge una attività di governo, sia locale che nazionale, o di amministratore in enti pubblici non dovrebbe contemporaneamente assumere il ruolo di legislatore. Chi è indagato per reati comuni dovrebbe dimettersi dall’incarico pubblico ricoperto e chi subisce una condanna per gli stessi motivi dovrebbe perdere il diritto all’elettorato passivo.
C’è infine chi accoglie con entusiasmo la proposta di ridurre a 300 il numero dei parlamentari. Questo entusiasmo non è condivisibile. Sarebbe la fine di ogni possibile rapporto diretto tra eletto ed elettore; la scelta definitiva per una democrazia elitaria. L’elettorato passivo sarebbe acquisito
non in virtù di un diritto appartenente ad ogni cittadino ed esercitato con un mandato popolare ma per successione ereditaria, in forza di disponibilità economiche e forse anche di complicità criminali. Sarebbe invece opportuno eleggere i nostri rappresentanti in collegi uninominali comprendenti non più di 40/120 mila elettori, in rapporto alle caratteristiche demografiche del territorio, in modo che ogni cittadino possa avere conoscenza diretta e possibilità di controllo del suo rappresentante. Con il collegio uninominale si eviterebbero i problemi conseguenti al voto di preferenza e si eliminerebbe quella evidente schifezza della lista bloccata.
Si può parlare d’altro: di repubblica presidenziale all’americana o alla francese, di cancellierato alla tedesca o di altro ancora. Anche se credo nella funzione sociale della ricchezza, comunque conseguita, si potrà parlare di economia più o meno libera o più o meno guidata ma quelle qui suggerite sono riforme non eludibili se vogliamo essere un paese presentabile.
Ivo Fava li, 25/06/2011