giovedì 7 ottobre 2010

MATEMATICA, LEGGI NATURALI, PRINCIPIO ETICO

MATEMATICA, LEGGI NATURALI
E PRINCIPIO ETICO

Gli scienziati si chiedono spesso il perché di certi numeri.
Perché il protone, l’elettrone, i quark hanno i numeri che hanno? Perché le loro masse e cariche elettriche sono esattamente quelle necessarie a giustificare il nostro universo? Perché ci sono delle costanti cosmiche di massa, lunghezza, tempo, temperatura che hanno esattamente quelle dimensioni? Perché esistono precisi rapporti di forza che insieme determinano tutte le strutture che conosciamo e i loro movimenti? Ed infine le costanti sono veramente costanti?
Forse la matematica è per la natura quello che il linguaggio è per gli uomini: sia l’una che l’altro consentono l’elaborazione di pensieri in grado di immaginare e realizzare strutture complesse, o determinare regole: leggi naturali fondate sulla matematica e umane fondate sul diritto. Nel farlo, sia la natura che gli umani, godono di una certa autonomia e tuttavia le leggi devono avere forma e sostanza in grado di consentire strutture non conflittuali che possano evolversi positivamente, senza regredire o determinare la propria fine. Le leggi umane possono cambiare, quelle naturali sembrano eterne. Certo gli scienziati fanno fatica a seguire le elaborazioni della natura: i loro pensieri fluiscono in pochi secondi, quelli della natura richiedono tempi cosmici di miliardi di anni. Con questi tempi come facciamo a sapere se quei numeri sono stabili? Se le costanti sono definitive? Ogni ipotesi sulla durata e sulla fine del nostro universo dipende dalle risposte a questi perché, ma se l’universo e gli umani sono arbitri del loro destino allora entrambi devono prendere in considerazione la possibilità che esista un principio etico a cui fare riferimento nella ricerca di un equilibrio giusto e duraturo.
Ivo Fava – li 04/10/2010

mercoledì 29 settembre 2010

DEMOCRAZIA OGGI

DEMOCRAZIA OGGI

L’Occidente si distingue dalle altre parti del mondo perché tutti i suoi popoli hanno governi che sono espressione di democrazie parlamentari. Questa caratteristica affonda le sue radici in una evoluzione culturale erede della tradizione greco-romana ma che, dopo un periodo buio, ha visto fiorire movimenti come la scolastica, l’umanesimo, il rinascimento, l’illuminismo. Oggi, che gli stati nazionali stanno perdendo l’antico prestigio e in loro vece spuntano organismi sovranazionali e strutture economiche, finanziarie, società di produzione e commercio che si impongono a livello globale e si autogovernano, questa evoluzione si è arrestata e sta gravemente degenerando. In Italia, dove lo stato nazionale, per ragioni dovute alla nostra storia, si è imposto con notevole ritardo e con ritardo è approdato a forme democratiche e repubblicane, passando attraverso un ventennio di dittatura fascista, questa involuzione è ancora più grave.
Una democrazia parlamentare si regge sul presupposto che le assemblee legislative siano formate da rappresentanti del popolo e il concetto di rappresentanza implica una delega ricevuta tramite un voto popolare liberamente e direttamente espresso in favore della persona delegata: possiamo affermare con assoluta onestà che la nostra camera dei deputati sia formata da rappresentanti del popolo?
I suoi componenti sono persone scelte da oligarchie di partito ed imposte ad un elettorato, senza stimoli, distratto ed indifferente che non sa né per chi, né per che cosa vota, non ha alcun rapporto con la persona eletta e nessuna possibilità di esprimere una opinione in merito. Se rappresentano qualcuno non è certamente il popolo e nemmeno i loro elettori che infatti diminuiscono ad ogni consultazione. Da noi è peggio che altrove ma è ormai evidente, su scala planetaria, che le democrazie sono asmatiche dovunque.
Un tempo si poteva forse pensare che il sistema elettorale migliore fosse il collegio uninominale all’inglese. Il sistema ha certamente dei difetti ma nel complesso sembra più adatto a garantire la governabilità e consente anche una certa vicinanza del candidato al territorio e ai suoi abitanti. Certo, specie in Italia, i collegi si possono comprare o vendere e in certe aree la rappresentanza è decisa da organizzazioni criminali: è già successo in passato, quando si votava per capacità e censo ma anche dopo il 1913 quando Giolitti concesse il suffragio universale esteso ai soli uomini. Ma la vera domanda è: esiste un sistema elettorale in grado di garantire il governo democratico del paese?
Alcuni sistemi elettorali garantiscono più di altri la governabilità ma nessuno è in grado di garantire una effettiva rappresentanza popolare. In tutte le democrazie occidentali questa rappresentanza è ormai rivendicata da oligarchie potenti in grado di influenzare l’elettorato in vario modo: perché dispongono delle leve del potere o di elevate risorse economiche, perché hanno il controllo malavitoso del territorio, perché possono controllare e manipolare l’informazione. Spesso la rappresentanza passa di padre in figlio come nelle monarchie assolute.
No, non esiste un sistema elettorale che consenta di rispondere positivamente alla domanda. Bisogna cercare sistemi alternativi se vogliamo salvare valori che sono costati lacrime e sangue e che oggi stiamo perdendo.
Non più un popolo che sceglie i suoi rappresentanti con il voto ma un popolo che rappresenta se stesso con tutte le sue contraddizioni ma anche potenzialità.
Non più un popolo che delega ad altri di scegliere chi governa ma un popolo che sceglie direttamente il suo governo.
In questo modo molti dei vizi che contraddistinguono la nostra società potrebbero trovare una risposta positiva: dal malaffare al clientelismo, dalla corruzione al nepotismo. I pesanti costi della politica non avrebbero più giustificazioni.
Tutto questo sarebbe possibile solo se i deputati, anziché essere eletti, venissero estratti a sorte tra quanti, oggi, possiedono i requisiti dell’elettorato attivo, purché sappiano leggere e scrivere ed, eventualmente, con un limite massimo di età.
Il governo potrebbe essere scelto dalla Camera tra persone della società civile che si siano distinte nel loro specifico settore. La Camera stessa potrebbe essere rinnovata per un terzo ogni due anni garantendo cosi la continuità della attività legislativa e il governo potrebbe essere rinnovato ogni cinque. Ove esista disparità di vedute tra il capo del governo e i suoi ministri la questione andrebbe rimessa alla camera che potrebbe sostituire o i ministri o il capo del governo o entrambi le parti in causa.
Immagino ci debba essere un presidente della repubblica con funzioni di garanzia e un organo giurisdizionale per garantire la costituzionalità delle norme in funzione di inderogabili diritti civili ma non è compito di questo articolo definire una nuova costituzione. Sarebbe abbastanza se qualcuno ritenesse, prima o poi, plausibile la proposta. A prima vista sembra assurda ma in effetti è realistica perché prende atto che molto spesso i parlamentari sono meno preparati e più opportunisti, delle persone che li eleggono: persone, nella maggior parte dei casi, laboriose che puntano solo sulle loro forze per costruire il loro futuro e quello della loro famiglia. Una volta estratti per amministrare lo stato è molto probabile che si comporterebbero allo stesso modo.
Ivo Fava
Li, 29. 09. 2010

lunedì 31 maggio 2010

AI CONFINI DELL'ANIMA

AI CONFINI DELL’ANIMA – Emanuele Severino / Luigi MariaVerzè
Corriere della Sera 27/05/20100
Estratto della rivista “Kos” del San Raffaele di Milano
Si tratta di un estratto di due articoli apparsi sulla rivista ciascuno a firma di uno degli autori di cui
sopra.
Severino cita Aristotele per cui l’anima sarebbe la totalità delle cose: non nel senso fisico ma nel senso della loro rappresentazione, manifestazione, apparenza. Manifestazione della totalità che però non avviene in modo simultaneo ma come processo. sviluppo, generazione. Quindi l’anima non è un ente particolare appartenente alla totalità ma può apparire, manifestarsi attraverso gli enti
che progressivamente vengono generati o si evolvono. Infine sostiene che poiché l’apparire degli enti è il fondamento di ogni ricerca, le scienze moderne, ma anche la religione e la filosofia, nelle loro indagini sull’anima (coscienza, mente, spirito) la prendono in considerazione come parte della totalità, come uno degli enti particolari che appaiono, come se gli enti esistessero “in se stessi,
indipendentemente dal loro apparire. Secondo Severino è su questo fondamento che prendono corpo teorie come quella evoluzionista e scienze come la psichiatria che vede nella cura un modo per interferire con la psiche. Da questo estratto non si capisce cosa Severino stesso pensi dell’anima.
Verzé prende in considerazione l’anima solo in riferimento all’uomo e sostiene che anima e corpo non sono cose separate. Crede in un’anima immortale, immutabile ed eterna: senza l’anima non ci sarebbe l’uomo ma l’uomo, ugualmente, non ci sarebbe con la sola anima senza il corpo e l’intelligenza. Corpo ed intelligenza possono differenziarsi in ciascun individuo ma l’anima rimane immutabile ed eterna. Inoltre sostiene che l’anima è spirito somigliante a Dio, quindi, ontologicamente non perfettibile ma soggetta, in interazione con il corpo, a perfezionarsi nel merito
in modo sia pure non quantizzabile con le misure umane.
In merito alle considerazioni di E. Severino
Forse non vale la pena chiedersi se ci sia un’anima ma certo ha un senso chiedersi se ci sia una essenza indistruttibile in ogni cosa. Se questa essenza la chiamiamo anima allora possiamo prendere in considerazione la definizione di Aristotele come illustrata da Severino: è la totalità delle cose, non nel senso fisico, ma nel senso del loro progressivo apparire, manifestarsi, presentarsi. Dovrebbe essere chiaro, però, che è dal rapporto con quest’anima, o essenza di tutte le cose, che ogni cosa sviluppa una sua coscienza, una sua intelligenza un suo modo di manifestarsi.
A questo punto si affacciano alcuni interrogativi:
- se si tratta di un’anima indistruttibile siamo in presenza di qualcosa di eterno e ciò che è eterno non ha un momento per manifestarsi allora, in relazione al processo, siamo in presenza di una manifestazione continua e. in relazione alle cose, non abbiamo un solo inizio ma infiniti inizi;
- continuità ed infiniti inizi hanno, però, una relazione con il tempo, rivelano un punto di contatto tra l’essere e l’esistere. Si direbbe che il tempo è strettamente connesso al formarsi delle strutture. Ogni struttura ha il suo tempo anche quando le accade di trovarsi all’interno di altre strutture. Il tempo non esiste per tutti gli enti allo stesso modo, ha un carattere locale ed effimero, quindi non esiste a livello fondamentale. L’anima al contrario, esiste indipendentemente dalformarsi delle strutture, non è effimera, non è locale, non subisce alterazioni o cambiamenti quindi esiste a livello fondamentale;
- se questa anima è in grado di generare le cose consentendo loro di evolvere interagendo tra loro, allora deve contenere le informazioni necessarie perché gli enti possano fisicamente formarsi e gestire i loro rapporti;
- se le cose sono così varie e diverse allora godono di un certo grado di libertà;
- se inoltre alcune strutture evolvono e altre regrediscono vuol dire che alcune interpretano il loro rapporto con l’anima meglio di altre e sanno come meglio interagire con le altre presenze.
Dobbiamo dunque pensare che le informazioni di cui questa essenza è portatrice, necessarie a formare strutture e a determinare i loro rapporti, non siano regole rigide ma consentano una certa libertà di scelta e comportino una qualche responsabilità degli enti in merito alla loro esistenza. Se è così ogni ente ha un suo modo di organizzare le informazioni e di entrare in relazione con altri. Può
anche rinunciare alla propria individualità per assumerne una in comune: sommando le sue informazioni a quelle degli altri a cui si è legato forma un nuovo organismo che le riorganizza per una esistenza diversa. Questo processo giustificherebbe il formarsi di coscienze (ed intelligenze) sempre più evolute.
C’è da stabilire come possa manifestarsi l’essenza eterna ed indistruttibile che da origine alle cose laddove le cose ancora non sono; quale sia cioè l’ambiente o il supporto della manifestazione. Immaginiamo che si tratti di un vuoto che non è uno spazio ma un vuoto senza spazio dove è l’energia stessa della manifestazione ad aprire uno spazio e lo spazio, come si sa, è un mare di energia virtuale in grado di evolvere in strutture fisiche. Ma, se il tempo ha un carattere locale ed effimero e quindi può essere considerato illusorio, le cose non lo sono. Non sono effimere perché partecipano ad un processo che non è confinato nel tempo e non sono locali perché strettamente collegate tra loro da una infinità di relazioni, indipendentemente dalla loro collocazione spaziale. Manifestandosi comunicano che ne siano coscienti oppure no, il rapporto con l’anima che si portano dentro, ragione e fondamento della loro esistenza. Certo è normale pensare che i processi avvengano nel tempo e per quanto possa sembrare assurdo parlare di processi per eventi, che non sarebbero confinati nel tempo, occorre considerare che la scienza ci ha. ormai, abituati a confrontarci con concetti apparentemente assurdi, obbligandoci a rivedere in modo radicale il nostro modo di pensare.
Il problema della non località e della atemporalità, a proposito di entità materiali, è emerso e si è imposto con la fisica quantistica. Einstein, con l’esperimento del pensiero, definito paradosso E.P.R., (Einstein, Podolsky, Rosen) sosteneva che il principio di località e la meccanica quantistica non andavano d’accordo: se era corretto il primo non lo era la seconda, se era corretta la seconda allora non lo era il primo. Einstein aveva ragione ma John Bell, 30 anni più tardi, consentendo di sottoporre il teorema EPR a verifica sperimentale, dimostrò la correttezza della meccanica quantistica e, diversamente da quanto pensava Einstein, verificò che il principio di località (e quindi di temporalità) non reggeva la prova sperimentale.
Dovremmo forse abituarci a pensare che passato, presente e futuro, come pure qui e là, siano legati insieme in un’unica struttura, ogni evento sia il risultato di un intreccio cui il tempo attribuisce l’aspetto illusorio di una collocazione spazio-temporale ma che in realtà sia strettamente intrecciato con il suo passato, il suo futuro e con qualunque altro evento, ovunque verificatosi. Ovviamente se ogni cosa conserva un suo significato ed ogni ente un suo specifico ruolo siamo di fronte ad un processo non confinato entro limiti temporali ma neppure immerso in un brodo spazio-temporale indistinto di eventi e presenze senza capo ne coda.
La pretesa che gli enti esistano in se stessi, indipendentemente dal loro manifestarsi non è condivisibile ma può servire alla scienza per isolare i fenomeni, stu..diarli e conoscerli nel particolare. Per ora, infatti, una teoria del tutto rappresenta un sogno irraggiungibile per la scienza, cosi come per la filosofia. Ma se le cose hanno un’anima e quest’anima è l’essenza indistruttibile di tutte le cose, manifestazione prima e origine di ogni altra manifestazione, allora è su questa essenza e sui rapporti che ogni ente intrattiene con essa, che si regge ogni possibile universo.
In merito alle considerazioni di L.M. Verzé
Si tratta di un punto di vista antropocentrico. Ma se consideriamo l’uomo alla stregua di un qualsiasi altro ente questa impostazione non si differenzia sostanzialmente da quella illustrata più sopra, salvo per un particolare: la perfettibilità dell’anima: perfettibilità non ontologica (visto che è èterna ed immutabile, spirito somigliante a Dio) ma dal punto di vista del merito. Anche se questo merito non può essere definito in termini di misure umane resta il fatto che corpo ed intelligenza pur non influenzando l’essere dell’anima possono, secondo Verzé, influenzarne il merito. Sarebbe più semplice sostenere che l’anima è la sorgente delle nostre informazioni fondamentali, ci consente di distinguere il bene dal male, è, infine, portatrice di un principio etico con il quale corpo e mente
possono interagire positivamente o negativamente determinando, a seconda dei casi, una buona ocattiva coscienza.
Ivo Fava 31/5/2010

venerdì 14 maggio 2010

LIBERTA' E PRINCIPIO ETICO

LIBERTA’ E PRINCIPIO ETICO
Come rispondere a Vito Mancuso

Dice il teologo Vito Mancuso: «l’obiettivo divino, ancor più della vita fisica, è la vita libera, e in questa prospettiva Dio realizza veramente il suo piano, perché il mondo che si dispiega ogni giorno sotto i nostri occhi è un immenso esperimento che raggiunge il suo obbiettivo, cioè la terribile ed insieme meravigliosa alchimia della libertà».
Se c’è un Dio questo deve manifestarsi perché altrimenti non avrebbe alcun senso e sarebbe chiuso in un cerchio di autoreferenza. Dobbiamo anche pensare che la Sua manifestazione avvenga nell’esistente non nell’essente perché Dio è già manifesto in sé. Ma se partiamo dal presupposto che l’uomo è libero dobbiamo immaginare che la manifestazione divina avvenga nella forma di proposta: ci sia cioè in essa una modalità che esige una risposta, modulata in vario modo, ma fra due estremi: accettazione o rifiuto. Una risposta che implica una responsabilità da cui dipende il nostro destino e la nostra stessa sopravvivenza. Però, se esiste un disegno divino dovremmo parlare di processo, non di esperimento, e dovrebbe riguardare il contenuto della manifestazione, non la sua modalità: non può, quindi, consistere nella libertà che consegue alla modalità, ma bensì in un valore, un principio etico in grado di orientare i nostri comportamenti. Dunque, noi siamo liberi di esercitare le nostre scelte ma questa libertà viene esercitata in un mondo di relazioni dove ognuno deve rapportarsi con l’altro sia che ne venga a contatto, sia che ciò non accada, perché ogni azione provoca una reazione diretta sulle cose con cui viene a contatto e indiretta sulle cose lontane, dalle conseguenze diffuse, a volte percepibili e a volte no, ma comunque reali. In questo contesto uniformarsi o meno ad un principio etico ha un impatto decisivo.
Comunque si ragioni attorno a questo problema, la tendenza è quella di riferirsi sempre all’uomo come se fosse solo lui l’oggetto dell’attenzione divina; in realtà noi siamo solo una presenza in un universo molteplice, caratterizzato da una infinità di presenze, ciascuna delle quali si forma esiste e si evolve nella misura in cui si conforma al fine ultimo che, dunque, non è una particolare struttura, nel nostro caso rappresentata dall’uomo, ma “un Principio”. Tanto più c’è coerenza con esso, tanto più si manifesta la capacità di evolversi e perfezionarsi; tanto più ci si allontana, tanto più si manifesta l’opposta tendenza a degenerare e regredire.
Sembra che in origine il nostro universo fosse costituito da un brodo di quark in condizioni di assoluta libertà, incapaci di entrare in relazione tra loro. Questa loro condizione originaria produceva come risultato il caos. Quando i quark si accasarono, sia pure in vario modo, nelle prime strutture: adroni, protoni, neutroni, atomi, cominciò a delinearsi uno sviluppo sempre più ordinato che non si è arrestato con la formazione di stelle e galassie ma è proseguito fino a generare, da materiale organico, quella che noi, oggi, chiamiamo “vita”. Da qui, sono emersi elevati stati di coscienza in grado di porre interrogativi sul perché delle cose, sul significato di ogni esistenza e dell’intero universo. Un numero infinito di particelle elementari hanno dovuto rapportarsi tra loro, scoprendo e realizzando le giuste relazioni che sono tuttora in evoluzione e che continuano ad essere elaborate e perfezionate. Quando, per qualche ragione, queste relazioni non sono appropriate le strutture si disgregano e regrediscono. Ci sono elementi i cui atomi possono esistere con un numero variabile di neutroni (isotopi) e pur differenziandosi per qualche aspetto secondario conservano inalterate le loro caratteristiche fondamentali. L’uranio con peso atomico 235 decade più velocemente dell’uranio con peso atomico 238 ma rimane uranio, tuttavia se qualche neutrone, oltre quelli consentiti, pensando di essere tranquillamente accolto, cercasse di accasarsi dentro quell’atomo che già ne ospita più di un centinaio, scatenerebbe il finimondo: l’atomo potrebbe trasformarsi, spezzarsi, dividersi in elementi diversi, spargendo tutto intorno una miriade di frammenti radioattivi.
Ci sono in natura principi che non pongono obblighi, non sono imposti, ma a cui ci si deve uniformare per formare strutture stabili. L’alternativa esiste ma sarebbe il caos.
Se la natura si esprime in questo modo pensate che l’uomo possa differenziarsi? Non lo può fare, sia che faccia riferimento alla sua singola persona o alle strutture sociali che via via sperimenta lungo il suo percorso nella storia.
Nelle relazioni personali l’uomo può proporsi o imporsi e anche le strutture sociali possono essere imposte o condivise. Le persone che si propongono per relazioni non conflittuali e le strutture sociali condivise possono comportare una volontaria limitazione della libertà individuale ma portano a rapporti pacifici e a uno sviluppo ordinato. Le persone che manifestano atteggiamenti e relazioni conflittuali e le società civili fondate su principi autoritari, quelle commerciali o industriali che obbediscono esclusivamente alle leggi del profitto, producono tensioni che, prima o poi, conducono a reazioni violente.
Qualcuno potrebbe sostenere che il principio etico non centra e che cercare relazioni pacifiche, creare strutture condivise risponde tutto sommato ad un principio di convenienza; tuttavia, se fosse solo questo, si tratterebbe di un approccio egoistico facilmente soggetto ad influssi e pulsioni di autoaffermazione, primo passo verso la sopraffazione dei diritti altrui.
Che cos’è allora la libertà? È la condizione iniziale necessaria per poter esercitare la facoltà di conformarsi o meno al principio etico. Se per ragioni politiche, sociali, economiche, questa libertà fosse conculcata, l’uomo sentirebbe il bisogno di rivendicarla come un diritto naturale perché, infatti, di questo si tratta. Conformarsi, non a qualsiasi legge o comportamento, ma al principio etico su cui regge l’intero universo, non è un obbligo ma una scelta che ciascuno di noi ha il diritto di esercitare in piena libertà. Ordine e caos sono alla nostra portata e sono affidati anche alla nostra responsabilità.
Certo non siamo in presenza di comportamenti eticamente responsabili quando, per ragioni di profitto, si scava nelle profondità oceaniche, alla ricerca di petrolio, senza porsi il problema di come riparare il possibile guasto di una valvola capace di provocare un disastro ambientale di incalcolabili dimensioni e dagli esiti imprevedibili, in una delle aree più dinamiche per le diversità biologiche ivi esistenti; quando, per assicurarsi una rendita politica e profitti personali, si promuovono eccessi di spesa pubblica improduttiva, ponendo a carico delle generazioni future debiti difficilmente sanabili senza conflitti sociali e lotte anche cruente; quando, per facili guadagni, si eccede in speculazioni finanziarie capaci di mettere in ginocchio economicamente interi continenti, invece di investire la ricchezza in attività produttive, nella ricerca, nella scuola e creare cosi occasioni di lavoro, di crescita culturale e di futuro benessere; quando argomenti di natura religiosa vengono strumentalizzati per negare diritti naturali e civili a milioni di persone.
Forse il nostro egoismo, la nostra incapacità di assumere comportamenti eticamente responsabili, porterà alla scomparsa della nostra specie e, se dobbiamo continuare ad agire come più sopra descritto, è meglio che ciò avvenga al più presto per consentire alla terra di sopravvivere e alle altre specie di evolversi e sostituirci in un sistema di relazioni universali più armonico.
In chiusura vorrei riprendere il discorso sulla libertà fatto da Mancuso e riportato all’inizio di questo articolo. Non credo potrà mai esserci una libertà individuale senza che ci siano limiti dovuti ad un sistema di relazioni universale ma penso che, se veramente l’universo realizzasse quanto la manifestazione divina propone, allora il sistema di relazioni sarebbe talmente perfetto che il molteplice finirebbe per identificarsi con l’Uno. Non ci sarebbe più bisogno di relazioni perché l’universo diventato Uno si identificherebbe con la Manifestazione medesima. È questa la libertà di cui parla Mancuso?