lunedì 31 maggio 2010

AI CONFINI DELL'ANIMA

AI CONFINI DELL’ANIMA – Emanuele Severino / Luigi MariaVerzè
Corriere della Sera 27/05/20100
Estratto della rivista “Kos” del San Raffaele di Milano
Si tratta di un estratto di due articoli apparsi sulla rivista ciascuno a firma di uno degli autori di cui
sopra.
Severino cita Aristotele per cui l’anima sarebbe la totalità delle cose: non nel senso fisico ma nel senso della loro rappresentazione, manifestazione, apparenza. Manifestazione della totalità che però non avviene in modo simultaneo ma come processo. sviluppo, generazione. Quindi l’anima non è un ente particolare appartenente alla totalità ma può apparire, manifestarsi attraverso gli enti
che progressivamente vengono generati o si evolvono. Infine sostiene che poiché l’apparire degli enti è il fondamento di ogni ricerca, le scienze moderne, ma anche la religione e la filosofia, nelle loro indagini sull’anima (coscienza, mente, spirito) la prendono in considerazione come parte della totalità, come uno degli enti particolari che appaiono, come se gli enti esistessero “in se stessi,
indipendentemente dal loro apparire. Secondo Severino è su questo fondamento che prendono corpo teorie come quella evoluzionista e scienze come la psichiatria che vede nella cura un modo per interferire con la psiche. Da questo estratto non si capisce cosa Severino stesso pensi dell’anima.
Verzé prende in considerazione l’anima solo in riferimento all’uomo e sostiene che anima e corpo non sono cose separate. Crede in un’anima immortale, immutabile ed eterna: senza l’anima non ci sarebbe l’uomo ma l’uomo, ugualmente, non ci sarebbe con la sola anima senza il corpo e l’intelligenza. Corpo ed intelligenza possono differenziarsi in ciascun individuo ma l’anima rimane immutabile ed eterna. Inoltre sostiene che l’anima è spirito somigliante a Dio, quindi, ontologicamente non perfettibile ma soggetta, in interazione con il corpo, a perfezionarsi nel merito
in modo sia pure non quantizzabile con le misure umane.
In merito alle considerazioni di E. Severino
Forse non vale la pena chiedersi se ci sia un’anima ma certo ha un senso chiedersi se ci sia una essenza indistruttibile in ogni cosa. Se questa essenza la chiamiamo anima allora possiamo prendere in considerazione la definizione di Aristotele come illustrata da Severino: è la totalità delle cose, non nel senso fisico, ma nel senso del loro progressivo apparire, manifestarsi, presentarsi. Dovrebbe essere chiaro, però, che è dal rapporto con quest’anima, o essenza di tutte le cose, che ogni cosa sviluppa una sua coscienza, una sua intelligenza un suo modo di manifestarsi.
A questo punto si affacciano alcuni interrogativi:
- se si tratta di un’anima indistruttibile siamo in presenza di qualcosa di eterno e ciò che è eterno non ha un momento per manifestarsi allora, in relazione al processo, siamo in presenza di una manifestazione continua e. in relazione alle cose, non abbiamo un solo inizio ma infiniti inizi;
- continuità ed infiniti inizi hanno, però, una relazione con il tempo, rivelano un punto di contatto tra l’essere e l’esistere. Si direbbe che il tempo è strettamente connesso al formarsi delle strutture. Ogni struttura ha il suo tempo anche quando le accade di trovarsi all’interno di altre strutture. Il tempo non esiste per tutti gli enti allo stesso modo, ha un carattere locale ed effimero, quindi non esiste a livello fondamentale. L’anima al contrario, esiste indipendentemente dalformarsi delle strutture, non è effimera, non è locale, non subisce alterazioni o cambiamenti quindi esiste a livello fondamentale;
- se questa anima è in grado di generare le cose consentendo loro di evolvere interagendo tra loro, allora deve contenere le informazioni necessarie perché gli enti possano fisicamente formarsi e gestire i loro rapporti;
- se le cose sono così varie e diverse allora godono di un certo grado di libertà;
- se inoltre alcune strutture evolvono e altre regrediscono vuol dire che alcune interpretano il loro rapporto con l’anima meglio di altre e sanno come meglio interagire con le altre presenze.
Dobbiamo dunque pensare che le informazioni di cui questa essenza è portatrice, necessarie a formare strutture e a determinare i loro rapporti, non siano regole rigide ma consentano una certa libertà di scelta e comportino una qualche responsabilità degli enti in merito alla loro esistenza. Se è così ogni ente ha un suo modo di organizzare le informazioni e di entrare in relazione con altri. Può
anche rinunciare alla propria individualità per assumerne una in comune: sommando le sue informazioni a quelle degli altri a cui si è legato forma un nuovo organismo che le riorganizza per una esistenza diversa. Questo processo giustificherebbe il formarsi di coscienze (ed intelligenze) sempre più evolute.
C’è da stabilire come possa manifestarsi l’essenza eterna ed indistruttibile che da origine alle cose laddove le cose ancora non sono; quale sia cioè l’ambiente o il supporto della manifestazione. Immaginiamo che si tratti di un vuoto che non è uno spazio ma un vuoto senza spazio dove è l’energia stessa della manifestazione ad aprire uno spazio e lo spazio, come si sa, è un mare di energia virtuale in grado di evolvere in strutture fisiche. Ma, se il tempo ha un carattere locale ed effimero e quindi può essere considerato illusorio, le cose non lo sono. Non sono effimere perché partecipano ad un processo che non è confinato nel tempo e non sono locali perché strettamente collegate tra loro da una infinità di relazioni, indipendentemente dalla loro collocazione spaziale. Manifestandosi comunicano che ne siano coscienti oppure no, il rapporto con l’anima che si portano dentro, ragione e fondamento della loro esistenza. Certo è normale pensare che i processi avvengano nel tempo e per quanto possa sembrare assurdo parlare di processi per eventi, che non sarebbero confinati nel tempo, occorre considerare che la scienza ci ha. ormai, abituati a confrontarci con concetti apparentemente assurdi, obbligandoci a rivedere in modo radicale il nostro modo di pensare.
Il problema della non località e della atemporalità, a proposito di entità materiali, è emerso e si è imposto con la fisica quantistica. Einstein, con l’esperimento del pensiero, definito paradosso E.P.R., (Einstein, Podolsky, Rosen) sosteneva che il principio di località e la meccanica quantistica non andavano d’accordo: se era corretto il primo non lo era la seconda, se era corretta la seconda allora non lo era il primo. Einstein aveva ragione ma John Bell, 30 anni più tardi, consentendo di sottoporre il teorema EPR a verifica sperimentale, dimostrò la correttezza della meccanica quantistica e, diversamente da quanto pensava Einstein, verificò che il principio di località (e quindi di temporalità) non reggeva la prova sperimentale.
Dovremmo forse abituarci a pensare che passato, presente e futuro, come pure qui e là, siano legati insieme in un’unica struttura, ogni evento sia il risultato di un intreccio cui il tempo attribuisce l’aspetto illusorio di una collocazione spazio-temporale ma che in realtà sia strettamente intrecciato con il suo passato, il suo futuro e con qualunque altro evento, ovunque verificatosi. Ovviamente se ogni cosa conserva un suo significato ed ogni ente un suo specifico ruolo siamo di fronte ad un processo non confinato entro limiti temporali ma neppure immerso in un brodo spazio-temporale indistinto di eventi e presenze senza capo ne coda.
La pretesa che gli enti esistano in se stessi, indipendentemente dal loro manifestarsi non è condivisibile ma può servire alla scienza per isolare i fenomeni, stu..diarli e conoscerli nel particolare. Per ora, infatti, una teoria del tutto rappresenta un sogno irraggiungibile per la scienza, cosi come per la filosofia. Ma se le cose hanno un’anima e quest’anima è l’essenza indistruttibile di tutte le cose, manifestazione prima e origine di ogni altra manifestazione, allora è su questa essenza e sui rapporti che ogni ente intrattiene con essa, che si regge ogni possibile universo.
In merito alle considerazioni di L.M. Verzé
Si tratta di un punto di vista antropocentrico. Ma se consideriamo l’uomo alla stregua di un qualsiasi altro ente questa impostazione non si differenzia sostanzialmente da quella illustrata più sopra, salvo per un particolare: la perfettibilità dell’anima: perfettibilità non ontologica (visto che è èterna ed immutabile, spirito somigliante a Dio) ma dal punto di vista del merito. Anche se questo merito non può essere definito in termini di misure umane resta il fatto che corpo ed intelligenza pur non influenzando l’essere dell’anima possono, secondo Verzé, influenzarne il merito. Sarebbe più semplice sostenere che l’anima è la sorgente delle nostre informazioni fondamentali, ci consente di distinguere il bene dal male, è, infine, portatrice di un principio etico con il quale corpo e mente
possono interagire positivamente o negativamente determinando, a seconda dei casi, una buona ocattiva coscienza.
Ivo Fava 31/5/2010

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