mercoledì 28 ottobre 2009

COME CONCILIARE LA SPESA CON IL RIGORE

COME CONCILIARE LA SPESA CON IL RIGORE

Chi sostiene la politica della spesa chi quella del rigore. Per alcuni le due posizioni sono inconciliabili e di fatto creano tensioni nel governo e nel paese. In realtà è possibile conciliare la politica del rigore con quella della spesa a patto che si abbia il coraggio e la volontà necessaria per affrontare i nodi strutturali che ostacolano o rallentano la crescita e rendono impossibile qualsiasi politica di sviluppo.
Ridurre la spesa è indispensabile se si vuole alleviare il peso fiscale su aziende e lavoratori, come pure per alleggerire il peso dell’enorme massa del debito pubblico ma la spesa pubblica ha effetti positivi sulle infrastrutture, sui consumi, crea opportunità di lavoro, promuove lo sviluppo e in sostanza è un importante fattore di crescita. Con la crescita il gettito fiscale potrebbe aumentare anche diminuendo le tasse e quindi si renderebbero disponibili maggiori entrate. Tuttavia c’è una parte della spesa che comporta duplicazione di compiti, rende farraginoso il funzionamento dello stato, complica la vita dei cittadini e delle imprese e si risolve, in sostanza, in un inutile spreco di risorse; allora la spesa da aggredire è quella improduttiva.
Sono necessarie riforme che vadano in questa direzione e una diversa collocazione dei mezzi economici disponibili.
Tra le riforme citiamo quella del pubblico impiego che non significa solo una più razionale utilizzazione del personale e l’informatizzazione dei servizi ma anche la definitiva eliminazione degli enti inutili; la riorganizzazione degli enti pubblici territoriali, con l’eliminazione di prefetture e provincie divenute ormai obsolete; la parificazione dell’età pensionabile tra uomini e donne; il federalismo fiscale con precisi limiti di bilancio tali da coinvolgere la responsabilità personale di chi amministra la cosa pubblica.
Riforme di questa natura semplificherebbero e renderebbero più efficiente le strutture burocratiche dello stato, più responsabili gli amministratori pubblici e più trasparenti le amministrazioni medesime, consentirebbero il recupero di risorse da destinare progressivamente alla riduzione del carico fiscale di lavoratori ed imprese, al contenimento del debito, alla redistribuzione della spesa a favore degli ammortizzatori sociali, della riqualificazione professionale, dell’istruzione, della ricerca, della bonifica e messa in sicurezza del territorio. Si potrebbe in questo modo evitare anche la ventilata svendita del patrimonio dello stato (imprese, immobili, opere d’arte) che, con la corruzione diffusa, di cui abbiamo ogni giorno conferma, finirebbe per arricchire ulteriormente alcuni, impoverendo inutilmente il paese.
Non abbiamo detto niente che già non si sappia. La gente ne parla a volte con rabbia a volte con sconforto. Per ora questa presa di coscienza produce mancanza di fiducia, perdita di credibilità nella rappresentanza politica ma la classe dirigente ascolterà queste voci? Se lo farà correrà dei rischi ma non sarà sola; se non lo farà i rischi saranno di gran lunga maggiori e nessuno correrà in suo aiuto.
Fava Ivo 28/10/2009

venerdì 9 ottobre 2009

MAGISTRATURA E POLITICA

MAGISTRATURA E POLITICA
Cominciamo dalla considerazione che le istituzioni non sono sacre. Si poteva forse pensare che lo fossero quando le si riteneva di origine divina ma ora si sa che sono creazioni umane e quindi criticabili come tutto ciò che dipende dal giudizio degli uomini.
Proseguiamo con la constatazione che il sistema di potere cui ha fatto riferimento il governo della prima repubblica non è finito a seguito di un voto popolare ma per mezzo di una azione della magistratura diretta essenzialmente verso i partiti della maggioranza parlamentare. Ora, anche senza entrare nel merito della legittimità, imparzialità e correttezza di questa azione, è evidente che si è trattato di un conflitto tra i poteri dello stato, tra l’altro preceduto da un fatto clamoroso, non ancora del tutto chiarito nei suoi più inquietanti aspetti: il sequestro e l’assassinio ad opera delle B.R., dopo un processo clandestino, di Aldo Moro segretario del maggior partito di governo e presidente del consiglio incaricato. Partiti di opposizione e organi di informazione hanno svolto in questa fase il ruolo di comparse schierandosi a favore o contro secondo la loro convenienza e la direzione degli eventi. Oggi i giudizi, tra loro contrastanti, della corte costituzionale sul lodo Alfano non fanno che confermare questa tesi: ancora una volta il sistema di potere che si regge sul voto popolare è sotto attacco da parte della magistratura. Ancora una volta le opposizioni stanno a guardare o approvano secondo la loro convenienza.
Si pone la questione: l’azione della magistratura trova la sua giustificazione nel ruolo istituzionale garantito dalla costituzione o può esserci il sospetto che non sia del tutto imparziale o peggio che persegua dei fini politici?
Sappiamo che esiste l’obbligatorietà dell’azione penale e che i giudici possono esercitarla nei confronti di chiunque, ma sappiamo anche che i giudici possono essere giudicati solo da altri giudici attraverso il loro organo di governo: il C.S.M. Questo attribuisce loro forza, potere ma anche responsabilità: se esistesse un fondato sospetto di parzialità o di ingerenza nella attività legislativa e di governo tutta la politica italiana risulterebbe irrimediabilmente inquinata e distorta.
L’indipendenza della magistratura non è in discussione; proprio per questo bisogna sottoporre ad un attento esame la sua organizzazione interna e cercare di capire se le procedure che portano alla formazione del giudizio, specie quando governo e parlamento ne subiscono le conseguenze, sono tali da garantire la formazione di un convincimento totalmente imparziale, libero e indipendente.
In primis: il magistrato deve essere ed apparire indipendente perciò non dovrebbe aderire a logge, associazioni, partiti politici o essere inquadrato in correnti che sostengono e sopportano le ambizioni di chi vi aderisce a svantaggio di chi ne è escluso. Questa esigenza di assoluta imparzialità e indipendenza dovrebbe essere una irrinunciabile questione di principio, visto l’enorme potere che è nelle mani del magistrato e l’alto grado di protezione che la legge gli garantisce nell’esercizio delle sue funzioni. Questo, purtroppo, non avviene: il sistema elettorale per la elezione del C.S.M., con il riparto proporzionale tra liste concorrenti e lo sbarramento del 9%, obbliga i magistrati a schierarsi in correnti e queste ultime lo fanno su posizioni dichiaratamente politiche. Tutto questo minaccia l’indipendenza del magistrato e getta un’ombra sulle sue iniziative.
Governo, parlamento e magistratura sono poteri dello stato. Per evitare conflitti di potere, dovrebbero avere relazioni interdipendenti ma nettamente separate. Ciò non avviene per governo e parlamento: il parlamentare può essere anche ministro e viceversa; tuttavia l’uno o l’altro, a meno che non sia un giudice, non potrà mai diventare magistrato (se non in qualche particolare caso e solo per ruoli di garanzia) Al contrario un magistrato, in qualsiasi momento, posto che ne abbia l’opportunità e la convenienza, può diventare parlamentare o ministro e viaggiare tra le istituzioni come un astronauta tra le galassie. Così diventa possibile la formazione di un partito dei giudici o, in alternativa, l’infiltrazione dei giudici nei partiti. In questo modo viene a configurarsi un conflitto di interessi di vasta portata, si rende problematico qualunque serio discorso sulla giustizia, si hanno pesanti riflessi e gravi alterazioni nei normali rapporti tra istituzioni e sulla natura delle relazioni politiche.
Tutti i cittadini, godono dell’elettorato attivo e passivo, possono eleggere ed essere eletti negli organismi politici rappresentativi. Possono farlo anche i magistrati ma per il mestiere che hanno scelto e per non essere accusati di giovarsi di una notorietà e di meriti acquisiti e cercati di proposito, questo passaggio dovrebbe avvenire dopo un certo periodo di vacatio con la toga appesa al chiodo e senza possibilità di ritorno sui propri passi: infatti una volta effettuata una scelta politica non è più garantita l’indipendenza di giudizio. Anche questa pratica di viaggiare tra i poteri getta un’ombra sulla magistratura sia inquirente e giudicante sia di garanzia: purtroppo i giudici della corte costituzionale sono scelti in base ad appartenenze politiche. Possono fare eccezione quelli di nomina presidenziale ma anche il presidente della repubblica viene espresso da schieramenti politici: dovrebbe svolgere un ruolo di garanzia e questo presidente lo ha fatto ma non è detto che sia sempre così.
Resta da spiegare come mai le correnti di sinistra abbiano la maggioranza in tutti gli organismi rappresentativi della magistratura e come si sia formato, dopo mani pulite, un partito dei giudici, che in un primo momento ha trovato ospitalità in casa d’altri ma che ormai ha acquisito una esistenza autonoma chiaramente rivoluzionaria nel linguaggio, nei comportamenti e con tendenze egemoni irrispettose della volontà popolare. Il dubbio che sia in atto una lotta di potere tra i poteri teso a sovvertire l’ordine politico legittimato dal consenso popolare rimane e pesa come un macigno sulla politica e sul nostro futuro.
Ivo fava - 09/10/2009