giovedì 12 novembre 2009

GESU' CROCEFISSO

GESÙ CROCEFISSO

Dice Erasmo da Rotterdam che Gesù ha insegnato una cosa sola: “ama il prossimo tuo come te stesso”.
A Dio appartiene l’amore e a Cesare la legge. “Rendete a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare”. Con queste parole Gesù consegna la legge agli uomini riservando a Dio un messaggio culturale ed etico. A questo messaggio il mondo non può rinunciare e l’occidente non può sradicarlo dalle sue radici senza smarrirsi.
Esistono fondamentalismi religiosi e fondamentalismi laici. Gesù crocefisso non ha nulla a che fare con loro, anzi è una loro vittima così come lo è stato il Gesù uomo, allora ad opera di un tribunale religioso, tra l’indifferenza del potere imperiale romano, oggi ad opera di un tribunale laico, tra l’indifferenza di una cultura materialista globalizzata di mercato, dominata dalle multinazionali.
Senza questo messaggio cosa resta all’Europa? Resta un relativismo culturale per cui tutte le fedi, credenza, ideologie, tendenze comportamentali vanno bene purché destinate ad un uomo che consuma. In questo vuoto culturale ed etico si consuma anche il sogno di un’Europa unita e pacificata attorno a dei valori comuni. Il futuro potrebbe assegnarle il ruolo di terra di conquista per minoranze fanatiche ma determinate che nel relativismo di un laicismo falsamente tollerante troveranno il loro terreno di coltura. Questa Europa deve cambiare per avere un futuro.
Ivo Fava 12/11/2009

mercoledì 28 ottobre 2009

COME CONCILIARE LA SPESA CON IL RIGORE

COME CONCILIARE LA SPESA CON IL RIGORE

Chi sostiene la politica della spesa chi quella del rigore. Per alcuni le due posizioni sono inconciliabili e di fatto creano tensioni nel governo e nel paese. In realtà è possibile conciliare la politica del rigore con quella della spesa a patto che si abbia il coraggio e la volontà necessaria per affrontare i nodi strutturali che ostacolano o rallentano la crescita e rendono impossibile qualsiasi politica di sviluppo.
Ridurre la spesa è indispensabile se si vuole alleviare il peso fiscale su aziende e lavoratori, come pure per alleggerire il peso dell’enorme massa del debito pubblico ma la spesa pubblica ha effetti positivi sulle infrastrutture, sui consumi, crea opportunità di lavoro, promuove lo sviluppo e in sostanza è un importante fattore di crescita. Con la crescita il gettito fiscale potrebbe aumentare anche diminuendo le tasse e quindi si renderebbero disponibili maggiori entrate. Tuttavia c’è una parte della spesa che comporta duplicazione di compiti, rende farraginoso il funzionamento dello stato, complica la vita dei cittadini e delle imprese e si risolve, in sostanza, in un inutile spreco di risorse; allora la spesa da aggredire è quella improduttiva.
Sono necessarie riforme che vadano in questa direzione e una diversa collocazione dei mezzi economici disponibili.
Tra le riforme citiamo quella del pubblico impiego che non significa solo una più razionale utilizzazione del personale e l’informatizzazione dei servizi ma anche la definitiva eliminazione degli enti inutili; la riorganizzazione degli enti pubblici territoriali, con l’eliminazione di prefetture e provincie divenute ormai obsolete; la parificazione dell’età pensionabile tra uomini e donne; il federalismo fiscale con precisi limiti di bilancio tali da coinvolgere la responsabilità personale di chi amministra la cosa pubblica.
Riforme di questa natura semplificherebbero e renderebbero più efficiente le strutture burocratiche dello stato, più responsabili gli amministratori pubblici e più trasparenti le amministrazioni medesime, consentirebbero il recupero di risorse da destinare progressivamente alla riduzione del carico fiscale di lavoratori ed imprese, al contenimento del debito, alla redistribuzione della spesa a favore degli ammortizzatori sociali, della riqualificazione professionale, dell’istruzione, della ricerca, della bonifica e messa in sicurezza del territorio. Si potrebbe in questo modo evitare anche la ventilata svendita del patrimonio dello stato (imprese, immobili, opere d’arte) che, con la corruzione diffusa, di cui abbiamo ogni giorno conferma, finirebbe per arricchire ulteriormente alcuni, impoverendo inutilmente il paese.
Non abbiamo detto niente che già non si sappia. La gente ne parla a volte con rabbia a volte con sconforto. Per ora questa presa di coscienza produce mancanza di fiducia, perdita di credibilità nella rappresentanza politica ma la classe dirigente ascolterà queste voci? Se lo farà correrà dei rischi ma non sarà sola; se non lo farà i rischi saranno di gran lunga maggiori e nessuno correrà in suo aiuto.
Fava Ivo 28/10/2009

venerdì 9 ottobre 2009

MAGISTRATURA E POLITICA

MAGISTRATURA E POLITICA
Cominciamo dalla considerazione che le istituzioni non sono sacre. Si poteva forse pensare che lo fossero quando le si riteneva di origine divina ma ora si sa che sono creazioni umane e quindi criticabili come tutto ciò che dipende dal giudizio degli uomini.
Proseguiamo con la constatazione che il sistema di potere cui ha fatto riferimento il governo della prima repubblica non è finito a seguito di un voto popolare ma per mezzo di una azione della magistratura diretta essenzialmente verso i partiti della maggioranza parlamentare. Ora, anche senza entrare nel merito della legittimità, imparzialità e correttezza di questa azione, è evidente che si è trattato di un conflitto tra i poteri dello stato, tra l’altro preceduto da un fatto clamoroso, non ancora del tutto chiarito nei suoi più inquietanti aspetti: il sequestro e l’assassinio ad opera delle B.R., dopo un processo clandestino, di Aldo Moro segretario del maggior partito di governo e presidente del consiglio incaricato. Partiti di opposizione e organi di informazione hanno svolto in questa fase il ruolo di comparse schierandosi a favore o contro secondo la loro convenienza e la direzione degli eventi. Oggi i giudizi, tra loro contrastanti, della corte costituzionale sul lodo Alfano non fanno che confermare questa tesi: ancora una volta il sistema di potere che si regge sul voto popolare è sotto attacco da parte della magistratura. Ancora una volta le opposizioni stanno a guardare o approvano secondo la loro convenienza.
Si pone la questione: l’azione della magistratura trova la sua giustificazione nel ruolo istituzionale garantito dalla costituzione o può esserci il sospetto che non sia del tutto imparziale o peggio che persegua dei fini politici?
Sappiamo che esiste l’obbligatorietà dell’azione penale e che i giudici possono esercitarla nei confronti di chiunque, ma sappiamo anche che i giudici possono essere giudicati solo da altri giudici attraverso il loro organo di governo: il C.S.M. Questo attribuisce loro forza, potere ma anche responsabilità: se esistesse un fondato sospetto di parzialità o di ingerenza nella attività legislativa e di governo tutta la politica italiana risulterebbe irrimediabilmente inquinata e distorta.
L’indipendenza della magistratura non è in discussione; proprio per questo bisogna sottoporre ad un attento esame la sua organizzazione interna e cercare di capire se le procedure che portano alla formazione del giudizio, specie quando governo e parlamento ne subiscono le conseguenze, sono tali da garantire la formazione di un convincimento totalmente imparziale, libero e indipendente.
In primis: il magistrato deve essere ed apparire indipendente perciò non dovrebbe aderire a logge, associazioni, partiti politici o essere inquadrato in correnti che sostengono e sopportano le ambizioni di chi vi aderisce a svantaggio di chi ne è escluso. Questa esigenza di assoluta imparzialità e indipendenza dovrebbe essere una irrinunciabile questione di principio, visto l’enorme potere che è nelle mani del magistrato e l’alto grado di protezione che la legge gli garantisce nell’esercizio delle sue funzioni. Questo, purtroppo, non avviene: il sistema elettorale per la elezione del C.S.M., con il riparto proporzionale tra liste concorrenti e lo sbarramento del 9%, obbliga i magistrati a schierarsi in correnti e queste ultime lo fanno su posizioni dichiaratamente politiche. Tutto questo minaccia l’indipendenza del magistrato e getta un’ombra sulle sue iniziative.
Governo, parlamento e magistratura sono poteri dello stato. Per evitare conflitti di potere, dovrebbero avere relazioni interdipendenti ma nettamente separate. Ciò non avviene per governo e parlamento: il parlamentare può essere anche ministro e viceversa; tuttavia l’uno o l’altro, a meno che non sia un giudice, non potrà mai diventare magistrato (se non in qualche particolare caso e solo per ruoli di garanzia) Al contrario un magistrato, in qualsiasi momento, posto che ne abbia l’opportunità e la convenienza, può diventare parlamentare o ministro e viaggiare tra le istituzioni come un astronauta tra le galassie. Così diventa possibile la formazione di un partito dei giudici o, in alternativa, l’infiltrazione dei giudici nei partiti. In questo modo viene a configurarsi un conflitto di interessi di vasta portata, si rende problematico qualunque serio discorso sulla giustizia, si hanno pesanti riflessi e gravi alterazioni nei normali rapporti tra istituzioni e sulla natura delle relazioni politiche.
Tutti i cittadini, godono dell’elettorato attivo e passivo, possono eleggere ed essere eletti negli organismi politici rappresentativi. Possono farlo anche i magistrati ma per il mestiere che hanno scelto e per non essere accusati di giovarsi di una notorietà e di meriti acquisiti e cercati di proposito, questo passaggio dovrebbe avvenire dopo un certo periodo di vacatio con la toga appesa al chiodo e senza possibilità di ritorno sui propri passi: infatti una volta effettuata una scelta politica non è più garantita l’indipendenza di giudizio. Anche questa pratica di viaggiare tra i poteri getta un’ombra sulla magistratura sia inquirente e giudicante sia di garanzia: purtroppo i giudici della corte costituzionale sono scelti in base ad appartenenze politiche. Possono fare eccezione quelli di nomina presidenziale ma anche il presidente della repubblica viene espresso da schieramenti politici: dovrebbe svolgere un ruolo di garanzia e questo presidente lo ha fatto ma non è detto che sia sempre così.
Resta da spiegare come mai le correnti di sinistra abbiano la maggioranza in tutti gli organismi rappresentativi della magistratura e come si sia formato, dopo mani pulite, un partito dei giudici, che in un primo momento ha trovato ospitalità in casa d’altri ma che ormai ha acquisito una esistenza autonoma chiaramente rivoluzionaria nel linguaggio, nei comportamenti e con tendenze egemoni irrispettose della volontà popolare. Il dubbio che sia in atto una lotta di potere tra i poteri teso a sovvertire l’ordine politico legittimato dal consenso popolare rimane e pesa come un macigno sulla politica e sul nostro futuro.
Ivo fava - 09/10/2009

giovedì 3 settembre 2009

COSCIENZA ED ETICA

Ho letto, tempo fa, un articolo di Edoardo Boncinelli dal titolo “Le quattro vie che portano alla coscienza” (Corriere della Sera del 26/6/2009). Mi sono fatto degli appunti e mi sono riproposto di esprimere a mia volta una opinione sull’argomento. Avrei voluto leggere, prima, il libro di Derek Denton “Le emozioni primordiali. Gli albori della coscienza”. Infatti è da questo libro che Boncinelli ha tratto ispirazione. Non ho letto il libro di Denton ma intendo, comunque, commentare l’articolo in questione partendo proprio dalla affermazione finale:«Può darsi che tutta la magia del fenomeno coscienza si risolva nel portare alla ribalta del mio io certi contenuti della percezione che siano pronti per l’azione o addirittura già azione: cose che stanno a mezza via fra la constatazione e la progettazione, come dire il progetto.»
È chiaro che la coscienza di cui parla Boncinelli è la sua coscienza, cioè una coscienza individuale umana. A questa conclusione giunge partendo da una affermazione di Denton «La mente è ciò che il cervello fa» ma poi ne restringe il significato osservando che la mente è solo una parte del cervello: esclude quindi tutto ciò che presiede al metabolismo delle cellule nervose e mette in evidenza la parte che riguarda la coscienza. In questo modo tende a rappresentare la coscienza come una acquisizione che la vita ha realizzato ad un certo punto del suo sviluppo, una sovrastruttura formatasi nel cervello, in una certa misura presente anche negli animali superiori, ma che ha raggiunto il massimo livello negli esseri umani. Per suo mezzo noi entreremmo in relazione con lo spazio, con il tempo e con le cose intorno a noi, ci permetterebbe di «sapere dove siamo in questo momento e di sapere che lo sappiamo». In base alle sue conclusioni individua quattro percorsi seguiti dall’evoluzione per consentire alla coscienza umana di emergere ed affermarsi:
- i bisogni biologici necessari che precedono l’emergere della coscienza primaria (Denton),
- la percezione del mondo esterno e la sua rappresentazione (Gerald Edelman),
- sensazioni e risonanze sulle quali si può costruiren il resto (Antonio Damasio),
- la propriocezione, ossia la percezione che ognuno di noi ha dello stato di tensione dei muscoli del proprio corpo (Boncinelli medesimo).
Ciò detto, una coscienza primaria potrebbe, esistere già in organismi biologici primitivi poiché tutti sentono gli stimoli della fame e della sete e la necessità di soddisfare questi bisogni; un certo grado di percezione e rappresentazione del mondo esterno dovrebbe contraddistinguere tutti gli esseri viventi se è vero che tutte le creature reagiscono a cambiamenti climatici e ambientali. Lo stesso vale per le sensazioni e risonanze o per lo stato di tensione dei muscoli: una mosca percepisce benissimo una sensazione di pericolo e un serpente sa interpretare altrettanto bene lo stato di tensione dei suoi muscoli al momento di afferrare la preda.
Una delle caratteristiche superiori della coscienza è quella di acquisire informazioni, trasformarle in esperienza e tradurre le esperienze in azioni: azioni intese non solo come adeguamenti comportamentali ma anche come adeguamenti strutturali.
A questo punto possiamo introdurre la domanda: un vegetale è in grado di acquisire informazioni, trasformarle in esperienze ed agire in conseguenza? Tutti sappiamo che un vegetale sa allungare le sue radici verso il terreno più fertile o irrigato e i suoi rami verso la fonte di luce più vicina; se aggredito da nemici sa approntare delle difese come spine o foglie urticanti o velenose. Questi comportamenti possono indicare la presenza di una forma di coscienza?
Possiamo osare ancora di più e chiederci: solo la vita biologica può realizzare forme di coscienza?
Scrive David J. Chalmers (Arizona Univesity):
«Forse le informazioni, o almeno alcune informazioni, hanno due aspetti fondamentali, uno di carattere fisico ed uno appartenente al mondo dell’esperienza…. Può persino accadere che teoria fisica e teoria della coscienza possano essere, alla fine, unificate in un’unica grande teoria dell’informazione. Si pone potenzialmente la domanda del posizionamento dell’informazione; persino un termostato, ad esempio, incorpora qualche informazione, ma si può dire che sia conscio? Ci sono almeno due possibili risposte; la prima: possiamo elaborare delle leggi fondamentali in modo che solo alcune informazioni si traducano in esperienze…., la seconda: possiamo forzare la situazione e avanzare l’ipotesi che tutte le informazioni producano esperienze….Se è così persino un termostato può provare esperienze.Questo può sembrare strano, in un primo momento, ma se l’esperienza è davvero fondamentale dobbiamo aspettarci che sia largamente diffusa».(D.J.Chalmers,” The puzzle of conscious experience”, Scientic American p.100-agosto 2002).
Questo potrebbe significare che la coscienza è una forza cosmica deputata ad interpretare l’universo in tutte la sue manifestazioni, in tutte le sue molteplici e mutevoli relazioni. Non sarebbe quindi esclusiva di una singola specie o della vita biologica come noi la intendiamo ma sarebbe presente in ogni struttura, semplice o complessa, materiale o immateriale, organica o inorganica e persino nelle loro singole parti. Del resto l’universo è un insieme di relazioni tra soggetti ciascuno dei quali e depositario di qualche informazione. Da come si evolvono queste relazioni nascono e si formano strutture che sommano insieme le informazioni di cui dispongono. Niente di più naturale pensare che sia la somma di queste informazioni e la loro qualità a determinare il livello di coscienza di ogni singolo soggetto.
A questo punto noi uomini, pur ridimensionati nella nostra presunzione di essere unici e irraggiungibili, potremmo ancora peccare di eccessivo orgoglio. Infatti non è detto che un alto livello di coscienza porti automaticamente ad una corretta interpretazione del proprio ruolo nell’universo. A volte, al contrario, può determinare la convinzione di poter appagare tutte le proprie ambizioni, i propri sogni e desideri anche a scapito di ogni altra presenza. Questo atteggiamento avrebbe effetti distruttivi.
Veniamo al concetto di progetto. Se l’uomo pensasse, data la sua presunta superiorità, rispetto ad ogni altra creatura, di essere lui il “progetto” e si comportasse di conseguenza, non andrebbe molto lontano. In realtà non esiste un progetto ma solo un principio in base al quale è possibile valutare la correttezza delle relazioni che ogni presenza intrattiene con le altre. La coscienza dovrebbe consentire l’utilizzo delle informazioni al fine di interpretare correttamente queste relazioni, permettendo la formazione di strutture destinate a durare e ad evolversi. Ma non è detto che lo faccia. Dunque se di un principio si tratta deve trattarsi di un principio etico ed è su questo principio che potrebbe reggersi l’intero universo.

giovedì 27 agosto 2009

La filosofia secondo Emanuele Severino

L'articolo di E. Severino "La chiave per capire la crisi" apparso sul Corriere della sera del 21 luglio 2009, è un invito alla riflessione. Il titolo è riduttivo perché l'autore vede:- nella filosofia l'interprete della manifestazione originaria del mondo e la pone a fondamento della potenza e dell'agire dell'uomo;- nella tecnica , come essenza vincente e nascosta della filosofia, la ragione del declino del capitalismo, della democrazia come pure delle religioni e delle passate ideologie;- nella unità unificante della tradizione filosofica la sola possibilità di spiegare la crisi economica.Afferma: "Ogni forma di pensiero e di azione hanno il loro fondamento nella manifestazione originaria del mondo" ed ancora: "…la filosofia è stata fin dall'inizio l'interprete della originaria manifestazione del mondo…. ha reso possibile e determinato la potenza, cioè l'agire dell'uomo: agire politico, morale, economico, artistico, religioso e dunque anche l'agire tecnico scientifico". Tuttavia, per interpretare la manifestazione originaria del mondo bisogna prima supporne l'esistenza e certamente la filosofia, sin dai primi istanti, ha cercato delle risposte partendo anche da questa premessa. In realtà pensiero ed azione potrebbero non essere l'espressione e non avere fondamento in una manifestazione originaria del mondo ma essere esse stesse manifestazioni del mondo. Il mondo cioè non si sarebbe manifestato unitariamente, comprendendo ogni tempo, ma temporalmente e episodicamente. La filosofia non aveva ancora fatto la sua comparsa ma possiamo essere certi che in ogni tempo ci sono state presenze capaci di dare una loro interpretazione della realtà cercando risposte in grado di consentire il loro adeguamento ad un ambiente che si andava, di volta in volta, rivelando. Forme e strutture semplici si sono così evolute in forme e strutture sempre più complesse preparando e consentendo la comparsa dell'uomo, della mente e dell'intelligenza umana. È così che il mondo continua a manifestarsi.Ogni manifestazione determina nuove relazioni e ogni relazione richiede una risposta globale, di sintesi. In riferimento all'uomo mi sembra, perciò, riduttivo considerarlo soltanto sotto l'aspetto delle sue capacità cognitive e razionali. È vero, la filosofia è alla base del pensiero e quindi anche delle discipline scientifiche, dello sviluppo della tecnica, dell'arte e così via. Determina anche lo sviluppo delle civiltà ma non sa impedirne il logoramento, il crollo, e qualche volta la definitiva scomparsa. Il comportamento umano ha molte componenti irrazionali e molto spesso sono queste a prevalere. Sensazioni e bisogni primari provocano reazioni istintive; le conoscenze tecniche sono sovente utilizzate a fini di gratificazioni personali e di parte che nulla hanno a che fare con la potenza e l'agire dell'uomo in quanto tale. La filosofia è forse alla base della potenza dell'uomo ma non è cosi scontato che sia la sola a determinarne l'azione, a meno che si attribuiscano alla filosofia anche le componenti irrazionali istintuali ed egoistiche che hanno un impatto devastante sulle cose del mondo.L'interpretazione della manifestazione originaria del mondo è solo uno dei campi di ricerca per mezzo dei quali la filosofia cerca una risposta sull'origine dell'universo. Lo fa in un contesto unitario prendendo in considerazione la totalità dei fenomeni, così come fanno le religioni, anche se quest'ultime non credono nella manifestazione originaria ma nella creazione del mondo. La scienza osserva, invece, le singole manifestazioni; isolando il campo di osservazione, cerca regolarità all'interno di determinati contesti e ne ricava leggi di natura: il problema filosofico e teologico delle origini rimane sullo sfondo ma non riceve risposte di natura scientifica. Fino all'avvento della meccanica quantistica ogni evento doveva avere la sua causa in un evento precedente. Questo assioma di causalità sembrava dar credito alle teorie creazioniste ma Heisemberg con la scoperta dell'indeterminazione quantistica ha modificato la nostra percezione della realtà. Gli eventi sembrano godere ora di un margine di libertà che li rende più o meno probabili o addirittura impossibili e questo sembra introdurre un certo grado di casualità che rimette la palla al centro tra i filosofi della manifestazione originaria casuale e i creazionisti.È possibile in questo modo arrivare alla verità?Dice Severino "Per motivi che restano per lo più celati alla coscienza che il nostro tempo ha di se stesso, il tramonto della concezione tradizionale della verità è inevitabile. È quindi inevitabile il tramonto del senso tradizionale di causalità" ma se il nesso di causalità non può più costituire una "verità necessaria" non è detto che si debba assumere come verità necessaria il concetto opposto della casualità del mondo e dunque della sua manifestazione originaria.L'indeterminazione di Heisemberg concede alle particelle elementari che compongono il nostro universo una limitata libertà di movimento non una libertà assoluta. E come se ognuna sapesse che deve muoversi e cercare possibili relazioni con una infinità di altre presenze ciascuna con un proprio spazio e un proprio tempo in cui muoversi. Questo non comporta la definitiva scomparsa del concetto di causa ma concede alle particelle una certa autonomia di comportamento direi quasi una autonomia responsabile da cui dipende l'esito delle strutture che emergono dalle loro relazioni. Non c'è alcun progetto; solo un principio che condiziona i loro rapporti. Le strutture che si formano sono come la tela di un ragno: un insieme di trame che hanno successo solo se seguono l'ordito."La manifestazione del mondo - insiste Severino - è invece il tutto di cui anche i fenomeni scientifici, quelli mentali inclusi, vengono a far parte. E la manifestazione del mondo include ogni tempo".Come può il tutto manifestarsi? e a chi? Manifestarsi significa entrare in relazione: con chi può entrare in relazione il tutto? Non con le sue parti che diversamente dal tutto hanno una dimensione spaziale e temporale. Forse con altri mondi ma in questo caso non sarebbe più il tutto e tornerebbe ad essere una parte. Se è una parte ha una esistenza finita, non può includere ogni tempo ma il suo tempo. Se invece è il tutto e include ogni tempo, allora, è senza tempo, è eterno ed immutabile. Eterno ed immutabile è solo Dio o un Principio che emani da Dio.Un principio può entrare in relazione con il mondo, manifestarsi e proporsi senza subire mutazioni e cambiamenti, può entrare in relazione senza la necessità di rapportarsi e pur non imponendosi può obbligare il mondo a rapportarsi ad esso. Proprio da questa relazione può avere origine il tempo e il divenire, il carattere mutevole e transeunte delle cose ma anche il progressivo maturare di coscienze e menti evolute.Forse, allora, non esiste una manifestazione originaria del mondo, né una mente originaria perché originario e senza tempo può essere solo Dio o il nulla. Ma solo da Dio può emanare un principio creativo; non necessariamente un inizio che è difficile immaginare possa emergere da un essere atemporale, piuttosto una inesauribile inestinguibile e continua riproposizione.Severino vede il "piano inclinato" lungo il quale scivolano le ideologie di questo tempo compreso il capitalismo, la democrazia e le religioni. Considera responsabile di questa inclinazione la tecnica in quanto "essenza vincente e nascosta della filosofia che porta all'aumento indefinito della potenza" Abbiamo già visto che a determinare l'agire dell'uomo è anche e soprattutto la sua avidità. Il suo desiderio di potenza si alimenta con l'accumulo di ricchezza più che con il pensiero filosofico. Capitalismo e democrazia si indeboliscono proprio perché i contenuti razionali del pensiero non riescono a contrastare la potenza e la forza del denaro e delle oligarchie che con esso si alimentano. È questa la dinamica che determina l'inclinazione del piano ed è sempre questa dinamica a favorire lo sviluppo della criminalità organizzata. La tecnica non c'entra nulla in questo contesto: rimane uno strumento neutrale che può essere usato per il meglio o per il peggio; nelle mani di oligarchie criminali diventa estremamente pericolosa non solo per il capitalismo e la democrazia ma per l'uomo e per l'ambiente in cui vive.Non è detto che il capitalismo debba durare in eterno e che la democrazia non possa trovare forme di rappresentanza e partecipazione migliori di quelle attuali ma il piano inclinato si può raddrizzare solo se si crede, non tanto nella forza della ragione che trova sempre qualche motivo di discriminazione tra gli uomini, ma in un principio di solidarietà e fratellanza, in carenza del quale la tecnica può solo fornire ulteriori alibi al dominio dell'uomo sull'uomo.In riferimento alla crisi economica Severino afferma:"Le discipline scientifiche che la prendono in considerazione non possono coglierne il significato appropriato: sono forme di specializzazione scientifica, dove viene metodicamente isolata una certa parte del terreno in cui essa si trova e assume la configurazione che le compete" Niente di più vero, occorre una comprensione unitaria del tutto, come può fare la filosofia, ma anche una filosofia che non consideri un principio etico è destinata a fallire.