mercoledì 13 aprile 2011

RIVOLUZIONE ARABA

RIVOLUZIONE ARABA

In questi giorni assistiamo ad avvenimenti che suscitano, nei governanti europei, apprensione ma anche scomposte reazioni prive di prospettive sia storiche che culturali. Si riproducono situazioni già sperimentate in passato, condannate dalla storia e chiaramente repressive delle culture esistenti.
L’Europa opulenta, forse ancora per poco, si chiude a riccio rispetto a movimenti migratori che coinvolgono interi continenti, in particolare quello africano: un continente che ha conosciuto il giogo coloniale dell’ Europa e che tutt’ora, in parte, lo subisce, sia pure in forme più moderne e sofisticate ma non meno minacciose e distruttive. Regimi sanguinari, autoritari e violenti, hanno potuto reggersi grazie all’atteggiamento interessato e protettivo di governi occidentali che hanno continuato a sfruttare enormi ricchezze in cambio di armi, tecnologie militari e denaro. Le reazioni popolari di questi giorni, nei paesi arabi, determinano, nei nostri governi, improvvisi protagonismi, con ripensamenti e sconvolgenti cambiamenti di rotta a seconda della piega presa dagli avvenimenti. L’impressione che se ne ricava e quella di un’Europa priva di qualsiasi valore e guidata da una élite politica senza talento, arrogante e stupida, il cui unico intento sembra essere quello di trarre vantaggio dalle disgrazie altrui, anche a danno, anzi direi soprattutto, degli alleati in difficoltà.
Possibile non vedere che nel mondo arabo, a noi vicino, ci sono fermenti culturali di una tale natura che possono avere un impatto rivoluzionario anche nel nostro continente e che potrebbero obbligarci a riconsiderare le strutture portanti su cui fondiamo i nostri rapporti politici e le nostre relazioni sociali. Questi popoli scoprono il valore della libertà politica ed economica ma hanno, più di noi, il senso della comunità e della solidarietà. Reagiscono contro i loro satrapi ma anche contro lo strapotere delle multinazionali nostrane che hanno finanziato guerre e stermini, provocato distruzioni e che, con il loro egoismo, la loro arroganza, la loro avidità, minacciano la sicurezza di tutti e quella del mondo intero. Possono aver bisogno di un aiuto ma noi non possiamo illuderci, aiutandoli, di poter continuare a condizionare la cultura, l'economia e la storia di queste popolazioni che con noi hanno condiviso, aiutandoci a conservarla, la civiltà greca e romana. Sostenere le rivendicazioni popolari con la diplomazia e talvolta anche con le armi di fronte allo strapotere militare di qualche dittatore può essere necessario purché non sia visto come un tentativo di precostituire posizioni di privilegio in funzione di vantaggi futuri. Se cosi fosse verrebbe confermata la mentalità coloniale dei governanti europei. Serve invece una reale apertura, una convincente dimostrazione di solidarietà umana verso chi fugge di fronte alla guerra, alla violenza, alla fame, alle distruzioni; serve aiutare chi rimane a ricostruire il loro futuro, ad avere fiducia in una nuova stagione di rinascita e di speranza; servono forme di collaborazione e di integrazione politica ed economica. Questa è la strada da seguire ma l’Europa deve prima sapere cosa fare di sè stessa. Sommessamente ricordo che l’integrazione europea è cominciata con dei padri fondatori animati da valori cristiani e domando: “di quali valori sono portatori i governanti di oggi”?

Ivo Fava - 13/04/2011

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