sabato 17 settembre 2011

UNA RADICALE RIFORMA DELLA RAPPRESENTANZA POLITICA

UNA RADICALE RIFORMA DELLA RAPPRESENTANZA POLITICA
Ernesto Galli della Loggia (Corriere della Sera del 10 sett.) individua la causa strutturale dei mali che affliggono il nostro paese in un “immane blocco sociale conservatore” formato da professionisti: avvocati, giudici, notai, medici, farmacisti, ogni altro ordine, sindacalisti, evasori, pensionati privilegiati, centri sociali in grado di bloccare ogni opera pubblica indispensabile allo sviluppo, infiniti altri segmenti tutti in grado di impedire qualsiasi riforma. A questo elenco bisogna aggiungere finanzieri e faccendieri senza scrupoli, la cui ricchezza non ha alcun rapporto con la produzione e il lavoro; la criminalità organizzata, in grado di controllare determinati territori e la loro rappresentanza; le multinazionali, specie quelle dell'energia e della comunicazione. Tutti questi condividono lo stesso obiettivo: impedire qualsiasi cambiamento, conservare i propri privilegi e garantire la propria sopravvivenza. Galli della Loggia affida quindi alla politica il compito di “parlare con verità”.
Ora, parlare con verità è un impegno troppo gravoso per chiunque, immaginarsi per la politica. E’ possibile però a tutti parlare con onestà e responsabilità. Parlare tuttavia non basta, occorre anche agire allo stesso modo, ma possiamo veramente sperare in un intervento risolutivo della politica? Purtroppo le strutture politiche altro non sono che l’espressione di quel blocco sociale su cui dovrebbero intervenire e ne sono perciò condizionate. Se le cose stanno così il problema non è il blocco sociale ma il sistema di rappresentanza politica che lo consente e che prende il nome di rappresentanza democratica. Ormai le democrazie occidentali sono espressione di oligarchie originate da poteri forti che con il popolo hanno molto poco in comune. Possiamo dirlo senza timore di essere smentiti: la gente normale, quella che lavora per far crescere dei figli, dare un tetto e mantenere una famiglia, ha scarse possibilità di essere rappresentata. Allora il problema vero è una riforma che rivoluzioni il sistema della rappresentanza politica e dia voce a queste persone. Sono persone che per ora subiscono, manifestando solo il loro disagio per il lavoro che non c’è o per stipendi appena sufficienti ad affrontare le spese di trasporto per recarsi al lavoro e poco più. Impossibile, per i giovani, ogni sogno di indipendenza dalla famiglia paterna. Le imprese possono ridurre i costi ed aumentare i loro guadagni con il trasferimento della produzione nei paesi emergenti, ma cosi facendo contribuiscono a comprimere ulteriormente gli stipendi e favoriscono la crescita della disoccupazione. Alla fine la gente si chiederà cosa deve farsene di una democrazia come questa e si renderà disponibile per pericolose avventure. La rivoluzione araba nasce in una popolazione di sudditi abituati a subire da secoli, una rivoluzione in occidente coinvolgerebbe cittadini abituati alla società del benessere. Quello che potrebbe accadere lo lascio immaginare a chi ha la fantasia per farlo. Come ho già sostenuto in un precedente articolo non c’è nessun sistema elettorale che possa impedire ai poteri forti, corrispondenti al blocco sociale di cui parla Galli della Loggia, di determinare la scelta e, in definitiva, di controllare la rappresentanza politica. Il problema esiste dai tempi arcaici laddove organizzazioni, non templari, di cittadini amministravano gli affari delle, allora, nuove e differenziate concentrazioni urbane. Il sistema generalmente adottato specie nell’antica Grecia, perfezionato ai tempi di Clistene, aveva come fondamento il principio di eguaglianza. Si realizzava con la rotazione annuale degli incarichi, la partecipazione di tutti i cittadini nella assemblea legislativa (ecclesia), l’estrazione a sorte dei componenti le assemblee rappresentative (demi) e dei magistrati incaricati del governo cittadino. Solo gli strateghi (creati dalla riforma di Clistene) venivano eletti: avevano il comando dell’esercito in tempo di guerra, prima affidato all’arconte polemarco. Non si occupavano di questioni civili o di problemi sociali: i greci sapevano che, quando ne avevano l’occasione, gli uomini, o almeno alcuni tra loro, facevano prevalere il loro tornaconto sull’interesse generale. Se solo avevano il sospetto che potessero farlo l’assemblea aveva il potere di esiliarli. In Italia, per esempio, ci sono rappresentanti del popolo che perdono la maggior parte del loro tempo a contare i propri soldi. Il caso Italia è unico tra le democrazie occidentali perché quelli che si definiscono rappresentanti popolari in realtà usurpano il nome che si attribuiscono. Di fatto sono dei nominati e rappresentano solamente chi ha il potere di nominarli.
Certo il sistema greco non è applicabile in Italia. Atene contava su decine di migliaia di cittadini e l’Italia conta su decine di milioni. Tuttavia anche Atene, al tempo di Clistene, pur conservando l’ecclesia, sentì il bisogno di avere un organo rappresentativo composto da 5oo elementi (50 per ciascuna delle 10 tribù), ma non rinunciò al sistema di estrazione a sorte, né a quello della rotazione, per lo più annuale, degli incarichi. Infatti l’estrazione a sorte consente una rappresentazione della popolazione più realistica ed efficace di una rappresentanza elettiva anche se, in questo modo si realizza solo su un campione della popolazione. Se cosi fosse, oggi, le assemblee legislative sarebbero caratterizzate dalla presenza di persone normali. Avvocati, giudici, altri esperti o professionisti che oggi, se eletti, continuano a svolgere la loro professione e fanno, prevalentemente solo ciò che a loro conviene, potrebbero, se necessario, essere relegati al rango di consulenti. Invece di una partecipazione universale nelle assemblee legislative nazionali e regionali avremmo una rappresentanza per campione ma pur sempre del tutto coerente con la realtà. I componenti l’assemblea legislativa potrebbero essere estratti a sorte tra i residenti nella circoscrizione elettorale di appartenenza. Si potrà stabilire dei limiti minimi e massimi di età, escludere chi ha problemi con la giustizia, chi non ha adempiuto all’obbligo scolastico, chi non è nelle condizioni di salute fisica o mentale per svolgere la funzione ma per il resto chiunque è in grado di dare un parere su problemi di ordine amministrativo o su questioni di carattere civile o sociale con più equità e ponderazione di quanto non si faccia oggi (si consideri che non c'è più, come un tempo, una classe dirigente colta e un popolo analfabeta). L’assemblea potrebbe essere rinnovata per un terzo ogni due anni escludendo coloro che hanno già ricoperto l’incarico. Il capo del governo potrebbe essere scelto nella società civile per un incarico a tempo non rinnovabile. A lui potrebbe essere affidato il compito di proporre la compagine governativa. L’assemblea avrebbe il potere di approvare la scelta dei ministri o di rimuoverli (tutti o in parte), come pure quella di eleggere e sfiduciare il capo del governo. Servirà una magistratura indipendente e un organo di garanzia costituzionale ma in entrambi i casi i giudizi devono essere emessi sentita una giuria popolare individuata con un sistema di sorteggio simile a quello già in vigore nei nostri tribunali.
Le Democrazie devono cambiare per sopravvivere. Cosi come sono oggi sono destinate ad essere dominate da potenti oligarchie finanziarie; da società multinazionali non controllabili perché presenti con diramazioni in molti altri paesi; da multinazionali del crimine organizzato, in grado di inquinare tutti i settori della politica, della giustizia, dell’economia (dal credito, all’industria, al commercio); anche da blocchi sociali, interni al paese stesso, come quelli descritti da Galli della Loggia. In ogni caso finiranno per rappresentare interessi molto distanti dai problemi della gente comune e non potranno garantire né un ordinato sviluppo della sociètà civile, né la pace sociale. .
Ivo Fava, li 17. 09. 2011

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